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Il 19 ottobre 1960, durante la Guerra Fredda, il governo degli Stati Uniti impose un embargo commerciale quasi totale contro Cuba, dopo che la trionfante “rivoluzione” di Fidel Castro nazionalizzò senza indennizzo le raffinerie e le aziende statunitensi sull'isola.
Quell'atto segnò l'inizio di una delle politiche di sanzioni più lunghe della storia moderna, con oltre sei decenni di applicazione e molteplici fasi di inasprimento.
Inizialmente, Washington aveva decretato un divieto di vendita di armi nel 1958, durante il governo di Fulgencio Batista, ma dopo il trionfo della cosiddetta "rivoluzione" nel gennaio del 1959 e il rapido allineamento di Castro con l'Unione Sovietica, la tensione è aumentata.
L'embargo di ottobre del 1960 ha restricto l'esportazione di tutti i beni statunitensi verso Cuba, eccetto alimenti e medicinali. Successivamente, il 7 febbraio del 1962, il presidente John F. Kennedy ha ampliato la misura per includere praticamente tutte le esportazioni, istituzionalizzando un sistema di sanzioni che perdura fino ad oggi.
Alo largo degli anni, diverse legislazioni —come la Legge Helms-Burton (1996), il Cuban Democracy Act (1992) e il Trading with the Enemy Act (1917)— hanno rafforzato questo quadro legale, giustificando la politica come una pressione sul governo cubano per avanzare verso la democratizzazione e il rispetto dei diritti umani.
In parallelo, l'Assemblea Generale dell'ONU ha approvato annualmente dal 1992 risoluzioni non vincolanti che chiedono la revoca dell'embargo, con gli Stati Uniti e Israele in quanto unici paesi a votare sistematicamente contro.
Tuttavia, al di là del dibattito diplomatico, è certo che l'embargo —che il regime cubano definisce “blocco”— è stato trasformato dall'apparato propagandistico dello Stato in un pretesto ricorrente per giustificare i suoi fallimenti economici e deviare la responsabilità del disastro interno.
In termini strettamente economici, non esiste un “blocco”. Cuba può commerciare liberamente con qualsiasi paese del mondo, e lo fa. Gli Stati Uniti, paradossalmente, figurano tra i principali esportatori di alimenti verso l'isola, in particolare pollo congelato, cereali e soia. L'embargo non impedisce queste transazioni; richiede solo che gli acquisti vengano pagati immediatamente e senza crediti, qualcosa che lo stesso regime riconosce quando gli fa comodo.
La narrativa del “bloqueo” è stata un'strumento efficace di manipolazione politica ed emotiva all'interno dell'isola, inculcata per generazioni per mantenere vivo il mito del nemico esterno.
Pero la realtà è che i problemi che oggi soffre Cuba —carenza, black-out, inflazione, corruzione ed esodo massiccio— non sono conseguenza dell'embargo, ma di un modello socialista centralizzato, improduttivo e controllato da un'élite militare guidata da Raúl Castro e amministrata dal suo burattino politico, Miguel Díaz-Canel.
Il contrasto tra il discorso ufficiale e i fatti è sempre più evidente. Dalla creazione delle Mipymes private nel 2021, il paese ha registrato un incremento costante nell'importazione di moto elettriche, auto, elettrodomestici e merce varia, molte provenienti dagli Stati Uniti, da Panama o dall'Europa.
Queste importazioni si pagano in contante e senza le restrizioni del “blocco”, dimostrando che quando ci sono soldi e volontà, si può commerciare con il mondo.
Poi, quelle stesse merci vengono rivendute all'interno di Cuba a prezzi che raddoppiano o triplicano il loro costo originale, in un mercato interno distorto e senza una reale regolamentazione, dove gli unici avvantaggiati sono coloro che hanno accesso al dollaro o al MLC, monete precluse alla maggior parte dei lavoratori cubani.
Nel frattempo, il regime continua a utilizzare la narrativa del “blocco criminale” come un velo di fumo per nascondere il blocco interno che impone ai suoi cittadini: la mancanza di libertà economica, la censura politica, la persecuzione degli oppositori e il controllo assoluto delle risorse da parte del conglomerato militare GAESA, proprietario di gran parte dell'economia nazionale.
L'embargo statunitense può essere criticato per la sua inefficacia —poiché non è riuscito a democratizzare Cuba né a rovesciare il regime comunista—, ma la sua esistenza non giustifica il disastro sociale ed economico che la isla sta vivendo.
Come hanno sottolineato diversi analisti, tra cui l'accademico William M. LeoGrande, si tratta del "regime di sanzioni più antico e ampio del mondo", anche se "non è mai stato efficace nel piegare il potere rivoluzionario".
A 65 anni dalla sua instaurazione, l'embargo continua a essere un simbolo storico della Guerra Fredda, ma anche uno specchio che riflette l'ostinazione di due governi: quello di Washington, nella sua strategia di pressione per provocare un giusto cambio di regime e una necessaria transizione verso la democrazia, e quello de La Habana, nel suo impegno per utilizzarlo come eterno pretesto per il immobilismo e per perpetuare le élite della dittatura al potere.
Il vero blocco che subiscono i cubani non è nelle leggi statunitensi, ma nel sistema che li tiene prigionieri del controllo statale e della miseria pianificata.
Gli Stati Uniti cercano di isolare Cuba all'ONU ed esporre la sua complicità con la Russia
A pochi giorni dalla votazione annuale alle Nazioni Unite sulla risoluzione che chiede la fine dell'embargo americano contro Cuba, Washington ha deciso di cambiare la sua strategia diplomatica.
Per la prima volta in decenni, il governo di Donald Trump cerca di rompere il consenso internazionale che tradizionalmente sostiene L'Avana, appellandosi a un nuovo argomento: il ruolo del regime cubano come alleato operativo della Russia nella guerra in Ucraina.
Un cavo del Dipartimento di Stato, datato 2 ottobre e rivelato da Reuters, ha istruito le ambasciate statunitensi a convincere i governi alleati a votare contro o a astenersi nella risoluzione che ogni anno condanna l'embargo.
Il documento sostiene che Cuba ha smesso di essere una vittima dell'isolamento statunitense per diventare “uno dei principali contributori stranieri all'aggressione russa”, con tra 1.000 e 5.000 cubani che combattono in Ucraina sotto gli ordini di Mosca.
Il giro mira a indebolire la narrativa propagandistica del regime, che da più di sei decenni ha utilizzato il "blocco" come scusa per i suoi fallimenti economici. Per l'amministrazione Trump, il vero problema non è l'embargo, ma l'allineamento politico e militare di La Habana con il Cremlino, e la sua partecipazione a violazioni dei diritti umani, corruzione e tratta di persone.
Il Rapporto sulla Tratta di Persone 2025 (TIP) del Dipartimento di Stato ha rafforzato questa posizione qualificando il reclutamento di cubani da parte della Russia come una forma di tratta patrocinata dallo Stato.
Secondo il rapporto, il regime cubano ha agevolato attivamente l'uscita di migliaia di giovani tramite visti di “turismo” e l'omissione dei controlli migratori, in uno schema simile a quello delle missioni mediche.
L'accusa rappresenta un salto qualitativo: non si parla più di reti criminali isolate, ma di complicità governativa diretta nello sfruttamento militare dei propri cittadini.
L'obiettivo di Washington è quello di minare l'ampia maggioranza che ogni anno sostiene Cuba —187 voti nel 2024— e mettere in evidenza di fronte alla comunità internazionale l'ipocrisia del regime, che si presenta come vittima mentre sostiene un invasore di guerra.
Sebbene il risultato finale rimanga incerto, per la prima volta in oltre tre decenni gli Stati Uniti potrebbero ridurre il sostegno diplomatico che La Habana riceve all'ONU. Se riusciranno a convincere diversi paesi ad astenersi o a cambiare il loro voto, Cuba si troverà ad affrontare una significativa perdita di legittimità internazionale e un colpo simbolico al suo discorso storico di resistenza.
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