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L'oppositore cubano José Daniel Ferrer García, leader dell'Unione Patriottica di Cuba (UNPACU), potrebbe essere liberato a breve come parte di una trattativa politica tra il regime cubano e attori internazionali, secondo fonti vicine alla sua famiglia e dichiarazioni recenti sui social media.
Tuttavia, il processo —che includerebbe il suo esilio insieme alla sua famiglia— rimane in un punto incerto a causa delle condizioni che L'Avana starebbe tentando di imporre ai suoi presunti interlocutori in cambio della sua uscita dal paese.
In un messaggio pubblicato sul suo account ufficiale di X, la sorella dell'oppositore, Ana Belkis Ferrer García, ha denunciato che la dittatura “ha fatto l'impossibile e il possibile per ottenere determinati benefici che ovviamente non hanno ottenuto, né otterranno”, mentre ha ringraziato per le numerose dimostrazioni di supporto ricevute dopo la diffusione della sua lettera dalla prigione.
"Esigiamo giustizia, libertà e vita per mio coraggioso fratello e per tutti i detenuti e prigionieri politici", ha aggiunto l'attivista che si è incaricata di denunciare e diffondere la situazione che soffre suo fratello insieme ad altri prigionieri politici nella prigione di Mar Verde, a Santiago di Cuba.
Ferrer, di 54 anni, ha accettato di andare in esilio dopo più di due anni di detenzione e torture. In una lettera datata 10 settembre 2025, ha rivelato che la sua decisione è stata presa “sotto pressioni estreme del regime” e motivata dalla necessità di proteggere sua moglie e i suoi figli.
“Sono pronto a morire, ma non a vivere senza onore, senza dignità,” scrisse dalla sua cella, descrivendo condizioni inumane e un contesto di costante molestia.
Recientemente, la sua famiglia, in particolare sua moglie Nelva Ismarays Ortega, ha denunciato che le autorità cubane bloccano la sua uscita dal paese e sottopongono l'oppositore a “tortura psicologica” mentre prolungano i negoziati per ottenere vantaggi diplomatici.
Ortega ha assicurato che il regime sta cercando di esercitare pressioni su Ferrer affinché rilasci dichiarazioni favorevoli a un possibile dialogo tra Cuba e Stati Uniti, cosa che lui ha categoricamente rifiutato.
Tradizione di scambiare prigionieri per concessioni
La manovra si inserisce in una lunga tradizione del regime cubano di utilizzare prigionieri politici come merce di scambio in momenti di isolamento o crisi diplomatica.
Nel corso di sei decenni, La Habana ha condizionato liberazioni o esili a negoziati con paesi terzi, in particolare con il Vaticano, la Spagna e gli Stati Uniti.
In 2010, ad esempio, il governo di Raúl Castro liberò 52 prigionieri del “Gruppo dei 75” —imprigionati durante la Primavera Nera del 2003— dopo un accordo mediato dalla Chiesa Cattolica e dall'allora ministro degli Esteri spagnolo Miguel Ángel Moratinos. La maggior parte fu inviata direttamente in esilio a Madrid, a condizione di lasciare il paese.
Una strategia simile si è ripetuta negli anni successivi, quando le autorità cubane gestirono l'escarcerazione e l'esilio di dissidenti emblematici, come Eliécer Góngora (UNPACU), Jorge Luis García Pérez “Antúnez” (Frente de Resistencia Cívica 'Orlando Zapata Tamayo') o il giornalista indipendente José Luis García Paneque, in operazioni presentate con cura come gesti “umanitari”.
In pratica, queste liberazioni rispondevano a necessità politiche del regime, che cercava di alleviare le pressioni internazionali o facilitare i contatti diplomatici con l'Occidente.
Il caso di Ferrer sembra seguire la stessa logica: una liberazione parziale —sotto la figura dell'esilio forzato— utilizzata come merce di scambio in vista di possibili avvicinamenti internazionali o mediazioni diplomatiche.
Tuttavia, a differenza di episodi precedenti, l'attuale situazione è più incerta: il governo di Donald Trump e il suo segretario di Stato, Marco Rubio, hanno inasprito la loro posizione nei confronti della dittatura e scartato qualsiasi negoziazione che comporti concessioni al castrismo.
Crescente pressione internazionale
La situazione del leader oppositore ha generato un'ondata di condanne nelle ultime settimane. La congressista María Elvira Salazar ha definito il regime "crudele e codardo", mentre il suo collega, Mario Díaz-Balart l'ha definito "eroe" e ha assicurato che sarà accolto come tale dall'esilio cubano.
Per parte sua, Rosa María Payá, promotrice insieme a Ferrer della piattaforma cittadina ‘Cuba Decide’, ha sottolineato che “salvarsi è un atto di resistenza, è difendere la dignità di un intero popolo”.
Il caso Ferrer è così diventato un nuovo punto di tensione tra il regime cubano e la comunità internazionale. Il rifiuto del governo di concretizzare la sua uscita rafforza la percezione che L'Avana utilizza la sofferenza dei prigionieri politici come strumento di pressione diplomatica.
Nel frattempo, la famiglia di Ferrer continua a aspettare notizie. “Ci hanno portato via quasi tutto, ma non la nostra morale”, ha dichiarato recentemente Nelva Ismarays Ortega.
Nelle sue parole risuona l'eco di decenni di repressione politica a Cuba, dove la libertà di un uomo continua a dipendere dalle trattative di uno Stato totalitario che vede nella dignità umana uno strumento di cambiamento, non un diritto.
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