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La pubblicazione di CiberCuba su un articolo di The Telegraph —che affermava che il vero obiettivo del presidente Donald Trump non sarebbe il Venezuela ma il regime cubano— ha provocato un'ondata di reazioni tra i lettori.
In meno di 24 ore, oltre 1.200 commenti hanno inondato la pagina del mezzo su Facebook, diventando uno dei dibattiti più intensi degli ultimi mesi sul futuro politico dell’isola.
La risposta popolare, diversa e contraddittoria, ha rivelato qualcosa di più profondo di una semplice reazione a una notizia: un ritratto emotivo dell'esilio e della disperazione interiore di un popolo diviso tra la fede in un cambiamento imminente e la stanchezza accumulata dopo decenni di promesse non mantenute.
Fede, speranza e desiderio di libertà
Per molti, il titolo è suonato come un segnale divino. “Che sia così”; “Dio lo voglia”; “Non ne possiamo più”; o “Sarebbe il miglior regalo di fine anno”, si è ripetuto in decine di messaggi.
La notizia è stata accolta come una possibilità di redenzione, un nuovo “giorno zero” che porrebbe fine a oltre sei decenni di repressione e scarsità.
“Che venga ciò che deve venire, ma che questa incubo finisca”; “Se devo morire, che sia vedendo la mia patria libera”; “Almeno i miei figli vivranno senza paura”.
La fede si è mescolata con la disperazione. Molti hanno scritto preghiere, altri hanno chiesto "intervento umanitario e militare" e alcuni hanno assicurato che "non c'è più altra via". Era il linguaggio di un popolo esausto, che, anche dall'esilio, continua a sognare di tornare a una Cuba libera.
Incredulità e stanchezza
Frente all'euforia, è emerso il coro degli scettici. “Questo è solo bla bla bla”; “Da sessant'anni dicono la stessa cosa”; “Molto rumore e poche noccioline”. La notizia è stata interpretata da altri come un capitolo in più di una storia infinita di promesse non mantenute.
“Annunciano sempre manovre, truppe, portaerei, ma non succede mai nulla”; “Ci lasciano vestiti e in subbuglio”; “Guerra avvisata non uccide soldati”.
Per una parte dei lettori, il presunto piano di Trump è semplicemente “un altro titolo per creare illusioni”, un'altra manovra elettorale. “Né Venezuela né Cuba: questa è politica interna degli Stati Uniti”, ha riassunto uno dei commenti più condivisi.
L'umorismo come trincea
Como spesso accade tra i cubani, l'umorismo è riuscito a farsi strada anche in mezzo alla tensione. “Cosa vorrà Trump a Cuba, dengue e zanzare?”, chiese uno. “Qui non c'è petrolio, solo spazzatura e marabù”; “Se entra, che porti cloro e clarias”.
Altri hanno ironizzato sul potere militare dell'isola: “Missili? Se non c'è nemmeno la duralgina”; “I razzi di Cuba sono arrugginiti dagli anni '80”; “Gli unici lanci che ci sono sono i blackout”.
Il sarcasmo è servito da catarsi collettiva, un modo per ridere della paura e dell'impotenza. Anche tra le battute, si è infiltrata la stanchezza: “Stiamo morendo di fame, ma continuiamo a fare scherzi. È l'unica cosa che ci rimane”.
Tra la paura e il desiderio di cambiamento
L'annuncio ha anche riacceso vecchie ferite storiche. Alcuni hanno avvertito che "un'invasione porterà morte, non libertà".
“Le bombe non hanno nome”; “Nessuna guerra pulita porta democrazia”. Altri hanno risposto con crudezza: “E questa non è guerra?”; “Il popolo sta già morendo in un altro modo, senza medicine né cibo”.
Il dilemma morale si è ripetuto in decine di scambi: vale la pena un'intervento straniero se il prezzo è la distruzione?
“La libertà costa sangue”, scrissero alcuni. “Non vogliamo più morti”, replicarono altri. “Ma se non succede nulla, moriamo lo stesso”, concluse un'utente, come chi si rassegna di fronte al destino.
Mistrust and fracture
Si sono moltiplicati anche i messaggi di sfiducia verso i media e la politica.
“Notizia falsa”; “È tutto un'invenzione per cercare clic”; “Trump non fa nulla senza un vantaggio e Cuba non ha nulla da offrire”. Altri hanno difeso la pubblicazione: “Almeno qui si parla senza censura”; “CiberCuba dice ciò che il notiziario di là nasconde”.
Las discussioni sono sfociate, come tante altre volte, in una frattura emotiva tra coloro che vivono dentro e coloro che sono fuori dall'isola. “Voi lo chiedete da Miami, ma qui è dove cadono le bombe”; “Noi siamo anche un popolo, e soffriamo anche da lontano”.
Era una lotta di specchi: tutti a reclamare amore per Cuba, ma da sponde diverse.
Tra la memoria e l'ironia
Alcuni evocarono il fantasma della Guerra Fredda. “Se toccano Cuba, ci sarà un'altra crisi dei missili”; “I razzi arriveranno in tre minuti”.
Otros hanno smontato la minaccia con umorismo: “Nemmeno il riso abbiamo, parlerai di missili”; “Gli unici missili qui sono le zanzare”.
Il passato è riemerso nelle conversazioni come avvertimento o come beffa. La storia, per molti, non suscita più rispetto, ma piuttosto noia. “Da sessant'anni ascoltiamo la stessa musica, ma il disco è già graffiato”.
Lo specchio della povertà
Al di là delle passioni politiche, la maggior parte ha concordato su un’analisi: la miseria quotidiana.
“Non c'è cibo, non ci sono medicine, gli ospedali sono collassati”; “La gente muore di fame e di malattie senza nome”; “Il paese è una discarica”; “Cuba sta scomparendo senza bombe, per abbandono”.
Alcuni hanno chiesto “aiuto internazionale prima che sia troppo tardi”. Altri hanno visto in un possibile intervento l’unico modo per fermare il deterioramento: “Se non vengono loro, ci estinguono”.
La disperazione era trasversale: credenti e atei, ottimisti e scettici, tutti riconobbero lo stesso paese distrutto.
Una conversazione che svela Cuba
En mezzo agli insulti e alle preghiere, ai sarcasmi e alle orazioni, emerse un sentimento comune: l'esaurimento. "Questa non è una notizia, è uno specchio", scrisse qualcuno. "Qui si vede come siamo: disperati, increduli e vivi".
La pubblicazione non solo ha acceso un dibattito: ha rivelato la frattura emotiva di una nazione dispersa. In fondo, la conversazione digitale è stata un termometro del paese reale —quello che non appare nei discorsi ufficiali—, uno spazio in cui i cubani, per alcune ore, hanno parlato senza paura.
Tra gli "ojalà", i "basta così" e i "non credo a niente", si è delineata la Cuba del presente: un popolo diviso, ma ancora in attesa, ancora rivolto verso l'esterno in cerca di segnali.
E anche se il futuro rimane incerto, le reti hanno lasciato una certezza: la speranza, per quanto fragile possa sembrare, è ancora viva.
Porque anche nei commenti più scettici, il desiderio si ripete ancora e ancora, come un'eco che si rifiuta di svanire: “Spero. Ma che sia già”.
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