Propaganda tra le macerie: La televisione del regime giustifica il rifiuto dell'aiuto degli Stati Uniti.

L'esaltazione del sacrificio, l'appello all'unità nazionale e la demonizzazione del nemico esterno costituiscono un copione che il sistema mediatico ripete ogni volta che il paese affronta una crisi. La stampa ufficiale continua a svolgere il suo ruolo più fedele: difendere il potere, anche quando la realtà lo smentisce.

Il giornalista ufficialista Jorge Legañoa AlonsoFoto © Captura di video Facebook / Canal Caribe

La televisione cubana è tornata a diventare un palcoscenico di propaganda politica questo fine settimana, quando il giornalista ufficialista Jorge Legañoa Alonso, attuale presidente dell'agenzia statale Prensa Latina, ha dedicato un ampio commento a mettere in discussione l'offerta di aiuto umanitario degli Stati Uniti al popolo cubano dopo il passaggio dell'uragano Melissa, e a presentare il regime come l'unico garante di solidarietà ed efficienza in mezzo al disastro.

Il segmento, trasmesso nel Noticiero Nacional de Televisión, ha mescolato cifre, aneddoti e appelli emotivi nel tentativo di ricostruire la narrativa ufficiale riguardo all'assistenza internazionale e di screditare la gestione di Washington e dei media indipendenti.

Il messaggio centrale è stato chiaro: “Gli Stati Uniti non hanno offerto nulla di reale” e tutta polemica al riguardo sarebbe “una manipolazione della macchina anticubana”.

Il commentatore ha adottato un tono moralistico fin dall'inizio, citando una frase martiana —“Agire è il modo migliore di esprimere”— per giustificare la presunta attuazione eroica dello Stato cubano.

Da lì, ha presentato un copione ripetuto nei discorsi ufficiali degli ultimi giorni: negare le offerte di Washington, riaffermare la “trasparenza” del governo nella gestione delle donazioni e attribuire all'embargo tutte le limitazioni materiali che il paese affronta.

“Cuba ha una vasta esperienza nella gestione trasparente delle donazioni e degli aiuti,” ha affermato Legañoa Alonso, citando agenzie delle Nazioni Unite e organizzazioni religiose come testimoni dell'impegno statale.

Ma il messaggio è andato oltre il riconoscimento di quella cooperazione: ha cercato di imporre l'idea che solo il governo cubano possa gestire l'assistenza, negando spazio alla società civile, alla Chiesa o alle piattaforme cittadine che sono emerse per assistere direttamente i colpiti.

Il giornalista ha inoltre evocato il vecchio memorandum di Lester Mallory (1960), un testo ricorrente nella propaganda castrista, per sostenere che la politica statunitense mira a "far soffrire miserie al popolo cubano".

Con questo argomento, ha tentato di presentare come contraddittoria l'offerta di aiuto di Washington, concludendo che se davvero volesse aiutare “dovrebbe eliminare il blocco o almeno stabilire eccezioni umanitarie”.

Un discorso costruito per negare l'evidenza

Tuttavia, i fatti smentiscono la versione del commentatore. Come è stato documentato negli ultimi giorni, il segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato pubblicamente la disponibilità degli Stati Uniti a offrire aiuti umanitari “immediati” al popolo cubano dopo il passaggio dell'uragano Melissa, che ha devastato diverse province dell'est dell'isola.

L'Ambasciata degli Stati Uniti a L'Avana e il Dipartimento di Stato hanno confermato l'esistenza di esenzioni legali che consentono donazioni private di alimenti, medicinali e materiali di emergenza.

Nonostante ciò, il ministero delle Relazioni Estere (MINREX) ha affermato che "non ci sono stati proposte concrete" e ha accusato i media di "manipolare" la questione.

Dopo alcuni giorni, il governante Miguel Díaz-Canel ha dichiarato che Cuba "accetterà qualsiasi aiuto che sia onesto", una formula ambigua che ribadisce il controllo assoluto del regime su qualsiasi canale umanitario. E ha colto l'occasione per definire "ratti" i giornalisti indipendenti e gli attivisti sui social media con messaggi critici nei confronti della sua gestione.

La dichiarazione avviene mentre organismi come l'UNICEF e l'ONU hanno già inviato carichi di medicinali, zanzariere e kit sanitari alle province colpite, senza che il governo cubano abbia fornito informazioni trasparenti sulla distribuzione di tali risorse.

Propaganda tra le macerie

Il commento di Legañoa Alonso, lontano dal fornire informazioni, si è trasformato in un pezzo di propaganda accuratamente elaborato per neutralizzare il valore simbolico del gesto statunitense e mantenere intatta la narrazione della "piazza assediata" che il regime sostiene da decenni.

Fin dalle sue prime frasi, il giornalista ha adottato un tono accusatorio: ha parlato di una “macchina anticubana” che, secondo lui, manipola i fatti e ha presentato l'annuncio di Rubio come una semplice manovra politica priva di contenuto reale. Con questo, ha cercato di screditare l'avversario e di dissolvere la possibilità che l'offerta di aiuto venga percepita come un atto genuino di solidarietà.

Legañoa Alonso ha selezionato esempi per sostenere la sua versione. Ha parlato dell'assistenza inviata in passato da Washington dopo l'incendio di Matanzas o l'uragano Ian, ma ha evitato di menzionare che queste donazioni sono arrivate dopo mesi di ritardi e sotto il controllo assoluto dello Stato cubano, che ha impedito la loro distribuzione diretta alla cittadinanza.

Con un discorso apparentemente informativo, il portavoce del regime ha tentato di sostenere l'immagine di un governo efficiente e trasparente. Anche il componente emotivo ha occupato un posto centrale nella retorica. Il commentatore ha evocato immagini di dirigenti coperti di fango e brigate di soccorso solidali, cercando di risvegliare empatia e orgoglio nazionale.

In quel ritratto di eroismo popolare, il regime si presentò come l'unico salvatore possibile, mentre il popolo apparve unito attorno alla presunta leadership di Díaz-Canel. La manipolazione emotiva risultò evidente: si sostituì la complessità della crisi con una narrazione epica in cui l'"eroismo" e la "fedeltà" del popolo si trasformarono in virtù patriottica.

La comparazione ideologica ha rafforzato il messaggio. Legañoa Alonso ha ricordato le immagini di Donald Trump che lanciava rotoli di carta igienica a Porto Rico dopo l'uragano María per contrapporre la presunta indifferenza capitalista all'"efficienza socialista" del governo cubano. Il contrappunto non è stato casuale: ha cercato di riaffermare la superiorità morale del sistema cubano e presentare qualsiasi critica esterna come un attacco alla dignità nazionale.

Finalmente, il pezzo si è concluso con l'argomento più ricorrente della propaganda ufficiale: la colpa esterna. L'embargo è tornato ad essere la spiegazione totale e conveniente di tutti i mali.

Secondo il racconto ufficiale, non ci sono errori amministrativi né negligenza statale, ma una cospirazione permanente della Casa Bianca destinata a impedire il progresso di Cuba. Così agisce sistematicamente la televisione del regime: cerca ancora una volta di trasformare una tragedia umanitaria in un atto di riaffermazione politica, dove il nemico è sempre l'altro e il potere si assolve tra le macerie.

Reazione sociale e sfiducia dei cittadini

Mentre la televisione ripete slogan, la società civile cubana ha espresso la sua sfiducia nei confronti dei canali ufficiali. Sui social media, numerosi cittadini hanno messo in discussione il fatto che il regime controlli le donazioni senza rendicontazione, ricordando esperienze passate in cui gli aiuti non arrivarono ai destinatari oppure vennero dirottati verso il mercato nero e le istituzioni militari.

Progetti comunitari come “Dar es Dar”, promossi da attivisti dentro e fuori dal paese, hanno avviato campagne per canalizzare aiuti diretti, ma lo Stato mantiene rigide restrizioni sulle importazioni di materiali umanitari e sulla creazione di fondi privati.

In contrasto, organismi internazionali e governi stranieri —come Venezuela, Colombia o l'India— hanno già inviato carichi che sono stati ricevuti con ampia copertura mediatica, mentre l'offerta statunitense è stata minimizzata o negata.

Un unico copione, un nuovo scenario

Il segmento di Legañoa Alonso è stato un fatto isolato. Si inserisce in una strategia comunicativa più ampia, in cui il regime cerca di controllare la narrativa riguardo all'uragano Melissa e trasformare la tragedia in una dimostrazione di forza politica.

L'esaltazione del sacrificio, l'appello all'unità nazionale e la demonizzazione del nemico esterno compongono un copione che il sistema mediatico ripete ogni volta che il paese affronta una crisi.

Il messaggio finale non è solo difensivo: punta a prevenire l'impatto simbolico di un'apparizione degli Stati Uniti come attore solidale nei confronti dei cubani. Se Washington riesce ad essere percepita come una fonte di aiuto e non di aggressione, si indebolisce uno dei pilastri ideologici del castrismo.

Perciò, al di là delle macerie e dell'urgenza umanitaria, la televisione cubana continua a svolgere il suo ruolo più fedele: difendere il potere, anche quando la realtà lo smentisce.

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Iván León

Laureato in giornalismo. Master in Diplomazia e Relazioni Internazionali presso la Scuola Diplomatica di Madrid. Master in Relazioni Internazionali e Integrazione Europea presso l'UAB.