Il sogno dei cubani e il incubo del regime



“Questa situazione, provocata in primo luogo da sei decenni di assedio economico esterno, è vista come un nuovo scenario di 'adesso o mai più' dal nemico storico della nazione cubana e dagli eredi del cosiddetto esilio, che non ha mai smesso di sognare un'altra Cuba sottomessa e dipendente”, ha affermato Díaz-Canel.

Miguel Díaz-Canel durante il suo intervento all'XI Plenario del Partito ComunistaFoto © Captura de video X / @PresidenciaCuba

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In his speech at the XI Plenary of the Communist Party, Miguel Díaz-Canel accused the exile community and critics of the regime of “disegnare un’altra Cuba sottomessa e dipendente, conficcata come una stella in più nella bandiera statunitense”.

La frase, pensata per gli applausi di menti indottrinate, rivela qualcosa di più profondo della consumata denuncia antiimperialista di una dittatura che dura da più di sei decenni: la paura del potere totalitario nei confronti dei sogni altrui.

Screenshot di Facebook / Presidenza Cuba

Perché il vero sogno dei cubani —dentro e fuori dall'isola— non ha nulla a che fare con bandiere straniere né con nostalgie coloniali.

Il cubano di oggi non sogna di diventare un'altra stella, ma di smettere di essere un'ombra. Sogna di poter decidere il proprio destino, di poter esprimere la propria opinione senza paura, che il suo stipendio valga qualcosa e il suo voto conti per qualcosa. Sogna di avere una casa senza blackout, un piatto di cibo senza code, un futuro in cui l'aeroporto non sia l'unica via di fuga.

Il sogno dei cubani

Il sogno cubano non è una chimera capitalista, ma un desiderio elementare: libertà, prosperità e rispetto.

La libertà di esprimersi senza temere una citazione della polizia; la prosperità di vivere del proprio lavoro senza essere trattato come un “sospetto abituale” per farlo; e il rispetto di uno Stato che non lo infantilisca con slogan, che non violi i suoi diritti umani fondamentali, ma che gli renda conto e lo protegga in un contesto di convivenza plurale, giusta e democratica.

Il cubano che si alza alle quattro del mattino per mettersi in fila non pensa a annessi né a cospirazioni; pensa a come sfamare la sua famiglia.

Il giovane che parte per il Nicaragua o per il Darién non fugge dal concetto di socialismo, ma dalla sua attuazione da parte di un regime despota che è al potere da 66 anni, trasformando la sua sopravvivenza in ideologia. E l’esiliato che invia rimesse non sogna una Cuba “dipendente”, ma una Cuba in cui i suoi familiari non dipendano da lui per mangiare.

Perciò, la caricatura che il regime fa dell'esilio —come un'orda di vendepatrioti ossessionati da Miami— non regge a un'analisi seria.

L'esilio cubano sostiene l'isola più di qualsiasi alleato politico, e il suo sogno di libertà è oggi più cubano del dogma vuoto del Partito.

L'incubo del regime

Il sogno dei cubani liberi è, allo stesso tempo, l'incubo di chi governa Cuba. Perché se un giorno i cubani potessero scegliere, il Partito e gli eredi della “continuità” dittatoriale perderebbero le elezioni, i privilegi e l'impunità.

Se esistesse una stampa libera, si saprebbe in dettaglio come vivono i gerarchi e come si distribuiscono le ricchezze del paese. Se ci fosse giustizia indipendente, molti di coloro che oggi parlano di "morale rivoluzionaria" dovrebbero rendere conto per corruzione, repressione e abusi.

Per questo il regime ha bisogno di mantenere la paura: paura della libertà, paura della critica, paura della diversità. In questa logica, sognare diventa pericoloso, e i sognatori diventano sospetti.

Il discorso di Díaz-Canel traduce quella paura in linguaggio politico: chiama “nemici” coloro che immaginano una Cuba senza vincoli, e “mercenari” coloro che la sognano con diritti e libertà civili e politiche.

Non si tratta di un errore di interpretazione derivante da un dialogo inesistente; è il riflesso della sopravvivenza della classe dominante.

Il potere rivoluzionario, dopo più di sei decenni, ha creato la propria aristocrazia: una casta militare, economica e familiare che vive scollegata dal paese reale, blindata dalla retorica del sacrificio mentre gode di privilegi impossibili per il cittadino comune.

Quell'élite non teme il blocco; teme il scrutinio. Non teme l'“imperio”; teme la trasparenza. E il suo incubo peggiore è una Cuba in cui la gente smetta di crederle ad alta voce e guardandola negli occhi.

La fine del racconto

Per anni, il regime ha venduto il sogno della giustizia sociale; oggi vende solo rassegnazione. Il suo discorso non mobilita né convince più: gestisce a malapena l'indignazione e l'esaurimento collettivo.

Per questo Díaz-Canel parla del sogno altrui con rabbia: perché sa che i cubani non sognano più i miti della cosiddetta "rivoluzione", ma il suo finale.

I cubani sognano un paese in cui il governo non dica loro cosa sognare. E quando quel sogno si sveglierà, l'incubo del potere diventerà realtà.

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Iván León

Laureato in giornalismo. Master in Diplomazia e Relazioni Internazionali presso la Scuola Diplomatica di Madrid. Master in Relazioni Internazionali e Integrazione Europea presso l'UAB.