Pablo Iglesias afferma che Cuba diventerebbe come Haiti se cadesse il comunismo

L'affermazione di Iglesias che una Cuba post-comunista sarebbe come Haiti non è solo errata, offensiva e neocolonialista, ma anche ideologicamente perversa. Si tratta di una fallacia del tipo "falso dilemma": presentare solo due opzioni possibili, quando in realtà ne esistono molte di più.

Pablo IglesiasFoto © Facebook / Pablo Iglesias

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Una forte polemica ha scosso questo venerdì il social network X (precedentemente Twitter), dopo che l'ex vicepresidente del Governo di Spagna e fondatore di Podemos, Pablo Iglesias, ha sostenuto che se il comunismo dovesse cadere a Cuba, il paese caraibico finirebbe per diventare “una democrazia come Haiti”, con “fame, violenza, analfabetismo e assenza assoluta di servizi”.

La dichiarazione è emersa in mezzo a un acceso scambio tra Iglesias e l'attivista cubano Magdiel Jorge Castro, comunicatore in esilio e membro del team editoriale di CiberCuba, che ha duramente criticato il politico spagnolo per le sue dichiarazioni sulla opositrice venezuelana María Corina Machado, recentemente premiata con il Premio Nobel per la Pace.

“Per dare il Nobel per la pace a Corina Machado, che da anni cerca di realizzare un colpo di Stato nel suo paese, avrebbero potuto darlo direttamente a Trump o addirittura a Adolf Hitler postumo”, ha scritto Iglesias sul suo profilo.

La frase —di tono beffardo, iperbolico e offensivo— ha suscitato indignazione sui social. Magdiel ha risposto con durezza, definendo Iglesias “spazzatura autoritaria” e denunciando il suo disprezzo per le libertà a Cuba e in Venezuela.

Iglesias, invece di moderare il tono, lo accusò di “traditore”, “cagnolino della destra” e di voler trasformare Cuba in “una democrazia come Haiti”.

Fu nel momento in cui la discussione smise di essere una mera schermaglia sui social per rivelare una forma di pensiero profondamente radicata in determinati settori della sinistra radicale europea: l'idea che qualsiasi alternativa democratica al socialismo a Cuba condurrebbe inevitabilmente al caos, alla povertà estrema e al collasso statale.

Una comparazione offensiva e falsa

La dichiarazione di Iglesias secondo cui una Cuba postcomunista sarebbe simile ad Haiti non è solo errata, ma ideologicamente perversa. Si tratta di una fallacia del tipo "falso dilemma": presentare solo due opzioni possibili, quando in realtà ce ne sono molte di più.

Secondo questo quadro, o Cuba mantiene il regime comunista (la cosiddetta "rivoluzione") con tutte le sue carenzerepressione, povertà, censura, scarsità—, o diventa uno Stato collassato, senza istruzione, senza sanità e senza coesione sociale, come Haiti. Il messaggio implicito è chiaro: “meglio una dittatura che un disordine”, identico nella sua logica a quella dei sostenitori della dittatura di Francisco Franco in Spagna.

È un argomento profondamente offensivo per entrambi i popoli. Per i cubani, perché nega la loro capacità di costruire un futuro democratico e prospero. E per gli haitiani, perché riduce la loro tragedia storica —prodotto di secoli di colonialismo, intervento straniero, catastrofi naturali e corruzione— a una caricatura funzionale: l'esempio perfetto del "capitalismo fallito" che la rivoluzione cubana avrebbe saputo evitare.

Perché usano Haiti come esempio?

L'uso di Haiti come "spaventapasseri" non è una novità. Da anni, figure della sinistra pro-regime — sia dentro che fuori Cuba — hanno utilizzato il caso haitiano come un meccanismo di ricatto emotivo e politico: se il sistema cubano crolla, il caos sarà inevitabile.

Questo argomento svolge diverse funzioni:

  • Delegittimare qualsiasi alternativa democratica
  • Infondere paura nella popolazione cubana
    • Per decenni, la propaganda ufficiale ha ripetuto che senza il Partito Comunista, Cuba si trasformerebbe in Haiti, o in uno “stato fallito” gestito da interessi imperialisti. Iglesias riproduce semplicemente —con un altro accento— la narrativa del regime.
  • Blindare ideologicamente il regime
    • Se ogni tentativo di cambiamento porta al disastro, allora qualsiasi critica diventa non valida. Anche se ci sono prigionieri politici, anche se lo stipendio non basta per mangiare, anche se ci sono blackout di 20 ore e medici senza medicine, il sistema cubano rimane "preferibile".

Cuba non è Haiti: Potenziale vs collasso

La comparazione fallisce anche da un punto di vista storico e strutturale. Cuba e Haiti non hanno traiettorie comparabili:

  • Prima del 1959, Cuba era una delle economie più prosperose dell'America Latina: alto PIL pro capite, una vasta classe media, un tasso di alfabetizzazione superiore al 70% e una forte presenza culturale e commerciale nella regione.
  • Cuba possiede un capitale umano altamente qualificato, un'infrastruttura istituzionale recuperabile e una diaspora solida e organizzata in grado di apportare investimenti, conoscenze e leadership.
  • Haitì, al contrario, ha subito ripetuti collassi istituzionali, un'economia informale strutturale, assenza di controllo territoriale in aree chiave, violenza generalizzata e una crisi umanitaria cronica.

Suggerire che Cuba seguirebbe il cammino di Haiti se abbandonasse il comunismo significa negare la storia, il potenziale e la capacità del popolo cubano di organizzare una transizione democratica ordinata, con istituzioni moderne, libertà civili e un'economia produttiva.

Romanticismo rivoluzionario e cinismo europeo

Lo aspetti più allarmanti del caso Iglesias non sono la sua ignoranza, ma il suo cinismo consapevole. Il politico madrileno vive in democrazia, riceve compensi da media privati, pubblica liberamente, ha fondato un partito politico e ha goduto dei privilegi del sistema che lui stesso critica. Ma da questa comodità, lui e la sua compagna -l'eurodeputata spagnola Irene Montero- giustificano la repressione a Cuba.

“La rivoluzione, con tutti i suoi errori e tutte le sue ingiustizie, continua a essere un modello più dignitoso di quello che viene offerto, sotto la tutela degli Stati Uniti, al resto dei popoli dei Caraibi”, scrisse alla fine della sua discussione.

¿Un modello più decente? Un paese con il 72% della sua popolazione al di sotto della soglia di povertà, dove un medico guadagna appena 30 dollari al mese, dove ci sono più di mille prigionieri politici, dove l'inflazione supera il 1.200%, dove si criminalizza la protesta e si punisce la libera associazione?

Il discorso di Iglesias rivela una logica coloniale invertita: i popoli del Sud devono sacrificarsi in nome di una rivoluzione simbolica, mentre gli intellettuali del Nord la celebrano dalle loro comode democrazie. È ciò che Magdiel ha definito con precisione come “turismo ideologico”:

Fanno la rivoluzione in America Latina per poterla osservare da lontano mentre godono dei privilegi della democrazia in Spagna”.

E la democrazia?

Iglesias caricaturizza l'opposizione cubana e l'esilio come “mercenari di Trump e Marco Rubio”, come se l'unica possibilità di democrazia in Cuba fosse tutelata dalla CIA.

Però omette che ci sono centinaia di migliaia di cubani —giovani, artisti, giornalisti, lavoratori— che vogliono ciò che lui già ha: votare, esprimersi, fondare un partito, criticare il potere senza andare in prigione.

"La rivoluzione non è modello di nulla... ci sono giovani di 20 anni in prigione per fare ciò che fa il tuo partito e tu stesso in Spagna ogni giorno," gli ricordò Magdiel.

Cosa rivela questa polemica?

Questo incrocio tra Iglesias e Magdiel è più di un'aneddoto. È il conflitto tra due visioni del mondo:

La polemica rivela, inoltre, che la sinistra spagnola continua a trascinarsi miti e dogmi su Cuba, incapace di aggiornare la sua visione oltre il romanticismo degli anni '60.

Continuano a vedere Cuba come una trincea simbolica nella loro battaglia culturale contro il liberalismo e gli Stati Uniti, anche se ciò implica sostenere prigioni, fame e censura.

Cuba può essere Cuba

Cuba non sarà Haiti. Sarà Cuba, libera, se le sarà permesso di decidere.

Il popolo cubano non ha bisogno di tutori ideologici né di rivoluzioni imposte. Ha bisogno di istituzioni, giustizia, mercato, educazione, democrazia e libertà. Ciò che paesi come Repubblica Ceca, Estonia, Cile o Spagna hanno costruito dopo le rispettive dittature è possibile anche per Cuba.

Ridurre il proprio destino a una scelta tra dittatura o collasso è non solo una menzogna: è una forma di complicità.

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Iván León

Laureato in giornalismo. Master in Diplomazia e Relazioni Internazionali presso la Scuola Diplomatica di Madrid. Master in Relazioni Internazionali e Integrazione Europea presso l'UAB.