
Video correlati:
Il sacerdote cubano Alberto Reyes ha condiviso una vecchia barzelletta che racconta come si arrivi al comunismo. La storia narra che bisognava prendere un treno, il quale affrontava molti imprevisti che i passeggeri stessi dovevano risolvere con i propri mezzi fino a quando non rimasero con niente.
Reyes, riconosciuto come una delle voci più critiche nei confronti del regime al centro della Chiesa Cattolica, ha utilizzato la storia per mostrare ciò che è accaduto a Cuba nel suo "percorso verso il comunismo". Il paese è praticamente un deserto: senza elettricità, senza produrre quasi niente e senza sicurezza per l'alimentazione, la salute e l'istruzione.
La cosa peggiore è che il governo sembra non rendersi conto e mantiene il suo discorso trionfalista su un futuro luminoso, mentre tutto sta crollando e tutti coloro che possono andarsene, se ne vanno.
Il parroco camagüeyano si chiede fino a quando la dittatura manterrà la sua farsa e cercherà di convincere il popolo che i governanti saranno in grado di far ripartire il paese.
A continuazione, CiberCuba condivide il testo integrale della pubblicazione su Facebook.
"Ho pensato… (103)"
Ho pensato a una profezia autoavverante
Anni fa si raccontava come uno scherzo quella storia del 'treno verso il comunismo'.
Diceva che un giorno invitò il popolo a salire sul treno che prometteva di portare fino al comunismo.
La gente, entusiasta, salì sul treno, che avanzò e avanzò finché iniziarono a scarseggiare le riserve di carbone per le caldaie che facevano muovere il treno. Poiché non avevano più carbone, si chiese di rimuovere i sedili, le finestre e tutto ciò che potesse fungere da combustibile per il treno, che in questo modo continuò a procedere. Ma anche quel combustibile si esaurì, così si chiese di gettare nei fornelli i bagagli, che fecero avanzare il treno ancora un po', fino a quando tutto si consumò. L'unica cosa rimasta da gettare erano i propri vestiti, cosa che tutti fecero e che permise al treno di avanzare un po' di più fino a quando, ormai senza combustibile, si fermò.
Scendendo, si trovarono di fronte a un immenso deserto e iniziarono a camminare, nudi, in mezzo a quella nulla. Una delle persone si avvicinò a uno dei leader e gli chiese: 'Ehi, quando arriveremo al comunismo?'. L'altro rispose, serenamente: 'Ci siamo già arrivati'.
Durante anni abbiamo sentito parlare dell'“opzione zero”, quella fase in cui dovremmo “resistere e vincere” (naturalmente) contando su zero risorse. Ebbene, sembra che finalmente ci siamo arrivati, abbiamo raggiunto l'opzione zero, quel momento in cui questo treno che ci ha promesso un paradiso ci ha lasciati nudi e nel pieno deserto, in un paese paralizzato, energeticamente inviable, dove non è possibile produrre praticamente nulla, e dove non c'è più sicurezza per niente, né per l'alimentazione, né per la salute, né per l'istruzione, né tanto meno per la vita, soggetta a un'incertezza cittadina senza precedenti.
Tuttavia, dal potere, non sembrano essersene resi conto. I loro discorsi, o soffrono di un trionfalismo schizofrenico, o traboccano di un vittimismo patetico, oppure, semplicemente, si rivolgono in modo colpevolizzante verso la popolazione che hanno condotto alla rovina, ma che ora risulta colpevole di non aver saputo difendere le conquiste rivoluzionarie o di non essere in grado di implicarsi con l’ardore necessario per combattere l'ennesima battaglia contro mulini a vento.
Fino a quando continueremo a giocare con gli ideali eroici e un futuro luminoso, mentre il Paese si paralizza e cade a pezzi, chi può andarsene scappa e noi che restiamo viviamo nella precarietà circolare di sopravvivere giorno per giorno? Fino a quando manterremo il teatro di un popolo ferventemente 'rivoluzionario'? Fino a quando tenteranno di convincerci che quelli che ci governano oggi saranno capaci di far ripartire il Paese?
Ci hanno sempre detto che 'la Rivoluzione non abbandona i suoi figli', l'unica cosa che non ci hanno spiegato è che noi, il popolo, non siamo i loro figli. Siamo i loro schiavi, siamo i loro ostaggi, coloro che sono stati usati per prendere il potere e quelli che oggi continuano a essere usati affinché tentino di dare vita a un treno che ha, come orizzonte, la nudità e il deserto.
Fino a quando? Quando sorgerà una voce digna che riconosca la verità e permetta a questo popolo di dimostrare di essere capace di offrire a tutti una vita diversa?
Domande frequenti sulle critiche di Alberto Reyes al regime cubano
Quale critica muove Alberto Reyes nei confronti del regime cubano?
Alberto Reyes critica la mancanza di libertà e diritti fondamentali a Cuba, così come la manipolazione e la repressione che il governo esercita sul suo popolo. Denuncia la situazione di miseria, la scarsità di risorse e la disperazione che imperversa sull'isola.
Qual è la proposta di Alberto Reyes per cambiare la situazione a Cuba?
Alberto Reyes propone promuovere un cambiamento attraverso l'azione dei cittadini, esprimendo la verità ed evitando di sostenere il regime. Invita i cubani a lottare per la giustizia e la libertà, e a non aspettare che il cambiamento arrivi in modo passivo o col tempo.
Come descrive Alberto Reyes la situazione attuale a Cuba?
Alberto Reyes descrive la situazione a Cuba come critica, con un sistema che ha portato il paese a uno stato terminale. Sottolinea la repressione e la manipolazione del regime, la mancanza di risorse basilari e la disperazione del popolo che vive in condizioni precarie.
Cosa simboleggia la metafora del treno verso il comunismo secondo Alberto Reyes?
La metafora del treno verso il comunismo simboleggia la promessa non mantenuta del regime, che ha lasciato il popolo cubano nella miseria e nell'abbandono. Reyes utilizza questa immagine per illustrare come l'ideale rivoluzionario abbia portato la nazione a uno stato di paralisi e precarietà.
Archiviato in: