Il diagnóstico è unanime: L'Avana trema quando sente la parola "narcodittatura"



La Habana affronta una crescente pressione internazionale dopo le accuse di legami con il narcotraffico. Si avverte nervosismo e difese diplomatiche mentre gli Stati Uniti intensificano la loro offensiva, ponendo il regime dittatoriale cubano in una situazione vulnerabile.

Droga sequestrata dalla Guardia Costiera e Bruno Rodríguez ParrillaFoto © news.uscg.mi - X / @BrunoRguezP

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Il regime cubano sembra essere entrato in una fase di contenimento politico e nervosismo diplomatico.

A medida che l'amministrazione di Donald Trump intensifica la sua offensiva contro Nicolás Maduro e l'asse Caracas-La Habana, la dirigenza cubana reagisce con una miscela di negazione, allerta e discorso difensivo, temendo che la pressione statunitense possa estendersi all'isola.

Il sintomo più recente è arrivato dall'account del cancelliere Bruno Rodríguez Parrilla, che ha pubblicato un messaggio insolitamente lungo in cui ha affermato che “Cuba mantiene una lotta attiva e responsabile contro il narcotraffico”, difendendo la “cooperazione con gli Stati Uniti” e accusando Washington di aver “ostacolato gli scambi bilaterali”.

“È deplorevole che quel paese, principale emittente di droghe verso il nostro, abbia deciso di frenare e ostacolare quella cooperazione”, ha scritto il ministro su X (prima Twitter).

Ma il tentativo di difesa ha generato l'effetto contrario. La pubblicazione si è riempita di migliaia di risposte cariche di indignazione, ironia e accuse dirette. Molti utenti —da cubani esiliati a giornalisti e analisti internazionali— hanno interpretato il messaggio come un gesto di paura più che di fermezza.

Dal scetticismo al sarcasmo

“Hanno ucciso Ochoa per dare la colpa degli affari di Fidel Castro con Pablo Escobar, ha risposto un utente, evocando il celebre Caso Ochoa, simbolo del legame tra l'alta dirigenza militare cubana e il narcotraffico negli anni ottanta.

“Non è un caso che il Pollo Carvajal li colleghi al narcotraffico in Venezuela”, ha scritto un altro, facendo riferimento alla lettera esplosiva inviata dall'ex capo dell'intelligence chavista Hugo “El Pollo” Carvajal a Trump da un carcere federale americano, in cui ha accusato L'Avana di essere il “cervello strategico” del Cartello dei Soli e di aver proposto a Hugo Chávez di usare la cocaina come arma geopolitica contro gli Stati Uniti.

Las risposte non hanno lasciato spazio ai chiarimenti. “La paura è cambiata di fronte, Bruno”, ha ironizzato un'utente. “Passi la giornata a difendere prima dell'attacco. Nessuno li salva”.

Desde Miami, attivisti e analisti hanno concordato su un unico diagnosi: il regime cubano si mostra nervoso di fronte a quello che percepisce come il preludio di un'offensiva emiatica guidata da Washington.

Trump resiste alla pressione e L'Avana si protegge

La tensione è rapidamente aumentata da quando Reuters ha rivelato che "elementi all'interno del regime cubano" avrebbero stabilito contatti riservati con funzionari statunitensi per discutere "come sarebbe la regione senza Nicolás Maduro".

La filtrazione, che suggerisce divisioni interne all'interno dell'apparato di potere a L'Avana, è arrivata nel momento peggiore: proprio quando Trump intensifica la pressione militare e diplomatica su Caracas.

Il dispiegamento della portaerei USS Gerald R. Ford nei Caraibi, accompagnata da otto navi da guerra, un sottomarino nucleare e aerei F-35, rappresenta la più grande dimostrazione di forza americana nella regione negli ultimi decenni.

Washington ha già designato il Cártel de los Soles come organizzazione terroristica straniera e non esclude ulteriori misure contro i suoi patrocinatori.

In questo contesto, le dichiarazioni di Rodríguez Parrilla sembrano meno una riaffermazione di sovranità e più una manovra di difesa anticipata, un tentativo di isolare Cuba dallo scandalo che già coinvolge Maduro.

L'eco di Carvajal e l'ombra del narcotraffico

Le accuse dell'ex generale venezuelano Hugo Carvajal continuano a scuotere le fondamenta dell'asse bolivariano.

Nella sua lettera, Carvajal ha affermato che è stato il regime cubano a ideare la strategia di narcotraffico con fini geopolitici e che agenti dei servizi segreti di Havana hanno partecipato direttamente alla creazione del Cartel de los Soles, fornendo armi, passaporti e impunità alle organizzazioni criminali.

L'Avana nega tutto, ma la sua risposta arriva in un momento in cui la narrativa statunitense —sostenuta dalla nuova Strategia di Sicurezza Nazionale 2025— ha collocato Cuba, Venezuela e Nicaragua come “nodi di una rete criminale emisferica”.

Nel frattempo, rapporti filtrati da Caracas indicano che Maduro diffida persino dei suoi agenti cubani, temendo che L'Avana lo sacrifichi se la sua permanenza diventa insostenibile.

Uniformi, paura e segnali dal Palazzo

A quel clima di paranoia si aggiunge un dettaglio simbolico: l'uso costante dell'uniforme militare da parte di Miguel Díaz-Canel dalla fine di ottobre.

In Cuba, vestir di verde oliva non è un caso, ma una dichiarazione politica. Analisti consultati da CiberCuba interpretano il gesto come un segnale di nervosismo interno di fronte alla possibilità che gli Stati Uniti ampliino la loro offensiva verso l'Isola in caso di caduta di Maduro.

Nei corridoi del Partito Comunista e del MININT, secondo fonti diplomatiche a L'Avana, la parola “narcodittatura” è diventata un tabù che provoca paura e discussioni private.

Un regime arroccato di fronte al cambiamento di scenario

Il diagnostic, dentro e fuori dall'Isola, è quasi unanime: L'Avana trema quando sente la parola “narcodittatura”.

Non perché sia nuova, ma perché ora risuona nella Casa Bianca di Donald Trump, accompagnata da portaerei, sanzioni e infiltrazioni di intelligence.

La storia sembra chiudersi sul castrismo: isolato a livello internazionale, dipendente dal petrolio venezuelano e sotto sospetto di essere stato l'architetto intellettuale di una rete di narcotraffico continentale, il regime affronta un momento di vulnerabilità senza precedenti.

Le segnali in X, le risposte popolari e il tono del suo cancelliere confermano che all'Havana non parlano più con l'arroganza della resistenza, ma con il riflesso di chi sa di essere osservato, accerchiato e in conto alla rovescia.

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Redazione di CiberCuba

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