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Il regime cubano ha reagito in modo prevedibile e bellicoso dopo la sua reincorporazione nella lista dei paesi sostenitori del terrorismo da parte del governo degli Stati Uniti, una decisione che, anziché riconoscere la realtà, è stata definita da L'Avana come un'"offensiva imperialista".
La dichiarazione ufficiale, piena di retorica propagandistica e manipolazioni, si concentra nel vittimizzare il governo cubano e presentare gli Stati Uniti come l'aggressore, omettendo ogni autocritica sulle pratiche repressive e sul sostegno storico a gruppi estremisti in tutto il mondo.
Il cancelliere cubano, Bruno Rodríguez Parrilla, ha fatto ricorso a Twitter per denunciare la misura statunitense, affermando che "nulla giustifica" la decisione e che essa "si basa sulla menzogna".
Tuttavia, i fatti smentiscono il discorso ufficiale, poiché il regime mantiene una relazione stretta con organizzazioni terroristiche e governi autoritari, come Russia, Iran, Corea del Nord, Nicaragua e Venezuela, il che ha suscitato preoccupazione nella comunità internazionale.
Nella sua dichiarazione ufficiale, il governo cubano ha insistito nel colpevolizzare Washington per tutti i problemi dell'isola, dalla crisi economica all'esodo massivo di cittadini, il più grande della storia recente. Tuttavia, le stesse politiche del regime, caratterizzate dalla repressione, dalla mancanza di libertà e dall'inefficienza economica, sono le vere cause del deterioramento della qualità della vita a Cuba.
Il documento pubblicato dal Ministero delle Relazioni Esterne (MINREX) ricorre a argomenti triti, affermando che "il blocco e le aggressioni" statunitensi mirano a distruggere la rivoluzione, mentre ignora i rapporti indipendenti che evidenziano la corruzione e la mancanza di trasparenza nella gestione governativa.
In questo senso, la società civile cubana è ogni giorno più consapevole del ruolo di GAESA (Grupo de Administración Empresarial S.A.), un conglomerato che controlla oltre il 70 % dell'economia in dollari del paese e che agisce impunemente contro i cubani, estendendo il “clientelismo”, la corruzione e il saccheggio delle risorse del paese da parte di un'“élite estrattiva” che avanza verso l'implementazione di un sistema oligarchico, con crescenti disuguaglianze e basato sulla mancanza di diritti e libertà, come prescrivono gli consulenti di Mosca.
Per maggior disonestà e impunità nel mentire, il regime cubano ha menzionato nella sua dichiarazione la recente manifestazione del 20 dicembre al Malecón dell'Avana, come esempio di adesione popolare al progetto di dominio che, da oltre 60 anni, è stato imposto nell'isola con il nome di "rivoluzione". Con quella mobilitazione controllata dalle autorità e priva di spontaneità cittadina, il regime cubano intende forse sostenere la sua legittimità?
Il ritorno di Cuba nella lista nera degli Stati Uniti è una conseguenza diretta del suo storico sostegno ai movimenti destabilizzatori nella regione e della sua alleanza con potenze che sfidano l'ordine mondiale promosso dalle democrazie occidentali. La narrativa del regime totalitario cubano, che cerca di attribuire tutta la responsabilità a Washington, non riesce a nascondere il crescente malcontento interno né il deterioramento della situazione umanitaria nell'isola.
Mentre il regime insiste nel suo discorso di resistenza, la realtà mostra un Cuba immersa nella peggiore crisi della sua storia recente, con una popolazione disperata di fuggire e un'economia al limite del collasso. La vera offensiva non proviene dall'esterno, ma dalla stessa élite al potere, che continua nella sua politica di repressione e disinformazione.
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