Balsero cubano che ha trascorso un mese in mare racconta come sono morti tre compagni di viaggio.

Yuriesky Romero è uscito insieme ad altre sei persone dal sud di Pinar del Río il 5 aprile di quest'anno ed è arrivato alla costa di Tamaulipas (Messico) il 4 maggio. Due membri dell'equipaggio della imbarcazione sono morti annegati e il terzo, di inanizione.


Yuriesky Romero Hernández (Pinar del Río, 25 novembre 1990) è sopravvissuto per più di un mese in mare, navigando alla deriva su una zattera precaria, mangiando pesce crudo e bevendo la propria urina, fino ad arrivare sulla costa di Tamaulipas (Messico), a sud del Texas. Durante il viaggio ha perso tre dei sei compagni di viaggio che lo accompagnavano nella traversata. Due sono Morti annegati e il terzo di fame.

Dopo essere arrivati in Messico, le autorità di questo paese hanno concesso ai naufraghi, nel giro di pochi giorni, la residenza. In una settimana sono passati negli Stati Uniti. Li hanno trattati come eroi perché hanno resistito 34 giorni in balia delle onde, su una zattera cubana, senza cibo, senza acqua e senza che nessuna delle imbarcazioni che si sono incrociate lungo il cammino li aiutassero.

La sua è una storia sconvolgente e ora, da Kentucky, chiede ai cubani che stanno pensando di fare lo stesso che ha fatto lui, lasciando i propri figli indietro, di desistere perché ci sono più possibilità di morire o essere rimandati indietro che di arrivare a destinazione.

Tutto è iniziato alle 10:30 del 5 aprile 2024. Per Yuriesky Romero era il suo secondo tentativo di uscita illegale. La prima volta aveva fallito. Mentre aspettava in una casa di tavole che arrivasse l'ora di salire sulla zattera, vide, attraverso le fessure delle pareti di legno, agenti della Sicurezza dello Stato, che erano stati allertati di un'uscita illegale.

Tal e quale avevano previsto, Yuriesky Romero e altri sei uomini salirono sulla barca a vela e cercarono di allontanarsi dalla costa sud di Pinar del Río, per La Coloma. Nel tentativo di allontanarsi dalla costa, chiesero aiuto ai pescatori della zona. Lungo il tragitto videro un'imbarcazione vuota che si dirigeva verso la costa cubana e che tornò indietro verso gli Stati Uniti carica di persone. Fecero dei segnali per farsi rimorchiare perché con il mare in calma la traversata si preannunciava lenta. Avevano acqua e cibo per quattro o cinque giorni.

Sin dal primo momento avevano in mente di arrivare in Messico, ma le correnti del Golfo li hanno deviati dal loro obiettivo. I GPS di sette cellulari puntavano ognuno a un punto diverso; hanno perso un timone di notte e hanno dovuto aspettare l'alba per buttarsi a mettere quello di ricambio. Quella era un'odissea.

I balseros sapevano di essere in mare aperto perché a pochi metri passavano crociere e navi cariche di container. Nessuno fece il gesto di soccorrerli. Tutti guardarono dall'altra parte. Nessuno li aiutò.

Quando erano in mare da più di quindici giorni, alla deriva, videro una boa, di quelle che le aziende di pesca mettono in mare per segnalare le zone dove pescano. Due dei membri dell'equipaggio della zattera si lanciarono in mare con la speranza di toccare la boa e far scattare gli allarmi affinché venissero a salvarli. Così fecero e videro un drone avvicinarsi per vedere cosa stava succedendo alla boa. Tuttavia, nessuno venne in loro aiuto. C'era così tanta corrente che la zattera non poté avvicinarsi al luogo dove si trovavano e anche loro non avevano forze per nuotare verso la zattera. Morirono annegati, scossi da onde alte cinque metri.

A quel punto c'erano quattro persone nella barca. Mangiano pesce crudo quando riuscivano a prendere qualcosa dal mare. Finché avevano forze, passavano la giornata in acqua, aggrappati alla zattera, per proteggersi dal sole. Bevevano l'urina, tapandosi il naso perché non avevano più acqua potabile.

Ma uno dei quattro membri dell'equipaggio non volle mangiare pesce crudo né bere urina. Al suo posto, bevve acqua di mare e si mangiò un tubetto di dentifricio. Appariva debole. Morì appena un paio di giorni prima di toccare terra. Anche se durante tutta la traversata non videro squali, ma delfini, temevano che se avessero lasciato il cadavere dentro la zattera, si sarebbe decomposto rapidamente per il sole. Non gli rimase altra scelta che gettarlo in mare. Lo videro allontanarsi perché non affondò.

Nella zattera tutti piangevano. Yuriesky Romero, in un'intervista concessa a CiberCuba, riconosce che, nel suo caso, ha pianto, perché pensava di essere a un passo dal prendere suo figlio da scuola e portarlo con sé sulla zattera. Il bambino non avrebbe sopportato il viaggio. Solo a pensarci, si metteva a piangere.

Finalmente, uno di quei giorni in cui non avevano più forza neanche per tuffarsi in mare e trascorrere la giornata in acqua per proteggersi dal sole, uno dei sopravvissuti vide terra. Sapevano che la costa era vicina perché la zattera si riempiva di uccelli durante il giorno, che poi se ne andavano al calar della notte.

Arrivarono a una specie di isolotto e furono assistiti da pescatori. Il loro arrivo suscitò scalpore tra la stampa messicana e le autorità li accolsero a braccia aperte. Una settimana dopo entrarono negli Stati Uniti.

Yuriesky Romero vive ora nel Kentucky. Sa di essere rinato e l'unica cosa che può fare è consigliare a chi ci sta pensando di desistere. Non tutti ci arrivano. Non tutti corrono la loro sorte.

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Tania Costa

(La Habana, 1973) vive in Spagna. Ha diretto il giornale spagnolo El Faro de Melilla e FaroTV Melilla. È stata caporedattrice della redazione murciana di 20 minutos e consulente di comunicazione della Vicepresidenza del Governo di Murcia (Spagna).


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