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Il regime cubano ha annunciato i risultati di uno studio condotto dal Centro di Studi Sociopolitici e di Opinione (CESPO), secondo cui la maggior parte dei cubani sostiene la cosiddetta "rivoluzione" e i suoi dirigenti.
Le conclusioni sono state presentate durante il dibattito sul rapporto di rendicontazione del Buró Politico al IX Pleno del Partito Comunista di Cuba (PCC), dal segretario Roberto Morales Ojeda.
Secondo il rapporto, la popolazione nutre un senso di orgoglio nazionale e riconosce come punti di riferimento il dittatore Fidel Castro e il generale Raúl Castro, nonostante il progetto sociopolitico instaurato da entrambi nel corso di oltre 60 anni - attraverso una dominazione violenta ed esclusiva - abbia condannato la nazione a un'infinità di carenze materiali e spirituali, e a difficoltà economiche che soffocano i cittadini.
Secondo l'organo di stampa del PCC, lo studio ha sottolineato che, nonostante le insoddisfazioni legate ai prezzi elevati, ai problemi di trasporto, alimentazione e abitazione, la popolazione si mostra per lo più favorevole alle politiche del regime.
Questa presunta adesione maggioritaria contrasta con i risultati di un sondaggio condotto a metà ottobre da CiberCuba sulla piattaforma Telegram, volto a conoscere l'opinione dei cubani sulla gestione del presidente Miguel Díaz-Canel. I risultati sono stati devastanti: il 95% dei cubani ha disapprovato il suo mandato e il 77% ha considerato il suo operato come "peggio impossibile".
L'approccio ufficiale contrasta con la realtà di una crisi sistemica che affronta Cuba, frutto di disastrose politiche economiche attuate dal governo di Díaz-Canel e della sua "continuità" di un sistema totalitario che reprime la dissidenza, la libertà di espressione e il diritto a una reale partecipazione politica, caratteristica dei sistemi democratici.
Portata al limite dall'inefficienza e dal palese disprezzo dei dirigenti del regime nei confronti dei cittadini, la società cubana attuale soffre gli effetti dell'inflazione, dell'impoverimento, della carenza generalizzata, della disuguaglianza, dell'ingiustizia e del deterioramento dei servizi pubblici, mentre è di pubblico dominio l'arricchimento, la corruzione e la cattura dello Stato da parte di un'élite mafiosa.
Ancora una volta, il PCC e il suo ente di “studi sociopolitici e d'opinione” utilizzano i mezzi di stampa ufficiali (gli unici legali nel paese) per diffondere la loro obsoleta retorica propagandistica e mantenere l'adoctrinamento sulla popolazione, pretendendo che la cosiddetta “rivoluzione” e la sua attuale leadership conservino la legittimità conferita dal sostegno delle “masse”.
La metodologia dello studio: Strumento di controllo ideologico
Attualmente diretto da Rosario del Pilar Pentón Díaz, il CESPO è stato creato nel settembre del 1967 come strumento del Partito Comunista per conoscere le opinioni della popolazione e da decenni raccoglie dati secondo uno schema metodologico progettato per consolidare il controllo ideologico del regime.
In teoria, lo studio si basa su questionari e interviste di gruppo che mirano a misurare variabili come l'umore, le percezioni sul sistema politico e le aspettative future. Tuttavia, i risultati sembrano essere progettati per rafforzare il discorso ufficiale piuttosto che riflettere le vere preoccupazioni della cittadinanza.
La proposta metodologica prevede un'analisi "scientifica" del clima sociopolitico, ma è finalizzata a garantire che i risultati fungano da strumento per la direzione politica. Questo si riflette nelle conclusioni del rapporto, che mettono in evidenza l'"adesione maggioritaria" al sistema socialista nonostante le evidenti tensioni economiche e sociali che colpiscono il paese.
Un ritratto della propaganda in un contesto di crisi
L'annuncio dello studio avviene in un contesto segnato da una grave crisi economica e sociale. L'inflazione incontrollata, il collasso dei servizi essenziali e l'emigrazione di massa hanno eroso la fiducia nelle istituzioni del regime.
Tuttavia, il CESPO utilizza i risultati dello studio per convalidare il modello politico e giustificare le politiche del governo di Díaz-Canel, sostenendo che le difficoltà siano il risultato di "propaganda nemica" e non di fallimenti strutturali del sistema.
Inoltre, il rapporto sottolinea l'importanza dell'ideologia nella consolidazione del potere. Nel 2017, l'allora vicedirettrice scientifica del CESPO, Marcela González Pérez, riconosceva a Trabajadores che queste ricerche sono fondamentali per "rafforzare i legami con il Partito e la gioventù", riflettendo l'uso dello studio sociologico come un meccanismo per perpetuare l'egemonia ideologica.
Una realtà che contraddice i risultati
In contrasto con le conclusioni dello studio, la realtà quotidiana dei cubani è segnata dalla precarietà. Le lunghe file per ottenere cibo, i frequenti blackout e la mancanza di medicinali hanno generato un clima di frustrazione e disperazione.
L'emigrazione di massa, con numeri record negli ultimi anni, è un ulteriore indicatore del malcontento della popolazione, che cerca di fuggire da un sistema che non garantisce opportunità né qualità della vita.
Pertanto, lo studio presentato dal CESPO è percepito più come uno strumento di propaganda che come un'analisi obiettiva della realtà socio-politica del paese. Sebbene il regime insista sul fatto che la presunta “rivoluzione” goda del sostegno della maggioranza, le evidenze indicano una disconnessione tra la narrazione ufficiale e l'esperienza quotidiana dei cittadini.
Il rapporto del CESPO sul clima sociopolitico a Cuba evidenzia come il regime utilizzi la ricerca sociologica come strumento per perpetuare il controllo ideologico.
Sebbene presenti un panorama di sostegno maggioritario al regime, le sue conclusioni sono chiaramente formulate per giustificare la legittimità del sistema politico in un contesto di crisi senza precedenti.
La disconnessione tra il discorso ufficiale e la realtà vissuta dai cubani sottolinea i limiti di un modello che dà priorità alla propaganda rispetto alle soluzioni concrete ai problemi che il paese affronta.
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